Suzanne Talhouk
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Che differenza c’è tra un sordo e un arabo?

Girovagando tra gli eventi TED, sono imbattuto in Suzanne Talhouk. Suzanne è una poetessa libanese laureata in fisica, fondatrice dal 2009 di Feil Amer (un’associazione non governativa che si occupa di tutelare e di salvaguardare la lingua e la cultura araba). In questo evento, Talhouk chiede semplicemente di “non uccidere la lingua araba” e spiega perchè. Vi invito prima a vedere il video, disponibile con sottotitoli in lingua italiana, e poi a rifletterci sopra 5 minuti, trasponendolo con la propria esperienza personale.

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Fatto? Ok, ora potete continuare a leggere.

Ci sono 5 passaggi del video in cui Suzanne Talhouk mi ha colpito nel cuore.

  • “Devo dimenticare ciò che ho imparato in arabo per conformarmi?”
  • “L’arabo è la nostra madrelingua. La ricerca ha dimostrato che per padroneggiare altre lingue, bisogna padroneggiare la propria.”
  • “Si dice spesso che per azzerare una nazione, bisogna ucciderne la lingua.”
  • “La lingua non è una, due o tre parole o lettere messe insieme: è un’idea interiore legata al nostro modo di pensare, a come vediamo gli altri e gli altri vedono noi.”
  • “Se uccidessimo la nostra lingua, dovremmo trovare un’altra identità.”

Lingua, identità, cultura, appiattimento culturale, conformismo sociale: sono i temi chiave della quale Suzanne parla con molta semplicità e ironia. Lei vuole spiegare l’importanza di salvaguardare la propria madrelingua (l’arabo in questo caso). E’ più comodo e meno faticoso conformarsi alla maggioranza, adottandone la lingua più usata, più cool o più internazionale se vogliamo. Così si sente meno diversi e più accettati, si hanno meno problemi e meno situazioni imbarazzanti, meno occhiate storte. Forse sarà più comodo ma sono sicuro che sempre più spesso ci si sente fuori posto, un pesce fuori dall’acqua.

Cominciamo dal principio per capire meglio perchè mi ha colpito al cuore. Sono gli stessi concetti che espongo nei miei incontri formativi. Proviamo a rivedere il video sostituendo “lingua araba” con  “lingua dei segni”. Devastante, vero? Come spesso vado ripetendo anche in questo blog, per quanti progressi faccia la tecnologia attraverso l’evoluzione delle protesi (analogiche, digitali, impianti cocleari ed altro) e la frontiera delle cellule staminali, chi nasce sordo o lo diventa nei primi anni di vita, attiva meccanismi e schemi mentali propri dei sordi: non sono le protesi che lo fanno diventare udente. Avrà la possibilità di acquisire suoni, rumori e parlato come gli udenti e poi sta alla sua capacità di assimilarli, interpretarli. Ma continuerà a leggere le labbra e cercare conferme raccogliendo informazioni con gli occhi. Proprio perchè si trattano di schemi mentali diversi, il cervello sordo lavora di più rispetto ad un udente se adotta i suoi stessi meccanismi perchè non sono naturali. Ecco perchè diffido sempre di chi sostiene che con l’impianto cocleare si diventi udenti. Siamo ai livelli di pubblicità ingannevole che crea aspettative troppo alte sopratutto nei genitori che si aspettano di “risolvere” finalmente il problema. Ma di quale problema parliamo?

Fintanto non si accetta l’idea che dell’essere sordi non si debba analizzare sempre e solo sotto la prospettiva medica ma si debba considerare come una condizione naturale (esattamente come essere cinese, africano, indiano o inglese), non si avrà mai la percezione che un sordo possa essere padrone di una lingua, di una cultura e di un’indentità ben precisa.

Mi rendo conto che per chi non ha mai avuto contatti con il mondo dei sordi, la DEAFHOOD, possa considerare quanto sostengo una blasfemia. Mi rendo conto come sia difficile visualizzare questi concetti: a maggior ragione comprendo le difficoltà dei genitori udenti di figli sordi a riconoscere questa condizione. Quando dico che esiste una prospettiva socio-culturale dei sordi, ci siano persone che alzano gli occhi al cielo mormorando: “ecco un altro visionario estremista!”. Ho visto persone liquidarmi con la stessa semplicità e crudeltà di quel giovanotto cameriere libanese citato da Talhouk. Ma provate a entrare nella nostra Deafhood e toccate per mano quello che vivono quotidianamente i sordi.

Perché non posso esprimermi con la lingua dei segni? La lingua dei segni è una lingua visiva e proprio per questo è la madrelingua di tutti i sordi. Come dice Talhouk, ma anche insigni linguisti sostenitori del bilinguismo come Grosjean, è importante fortificare le basi della propria madrelingua per poi padroneggiare altre lingue. Chi obietta che la lingua dei segni sia una lingua povera, minimalista, che non permetta di descrivere concetti astratti, sospenda il (pre-) giudizio, andando realmente a vedere come stanno le cose: è una lingua molto più completa di quanto si immagini, in costante evoluzione e con delle potenzialità che nemmeno i sordi immaginano.

Spiace che la lingua dei segni sia così sottovalutata anche dai sordi stessi: del resto non può essere diversamente se veniamo sottoposti ad un quotidiano lavaggio del cervello e se sentiamo sempre ripetere lo stesso mantra (“se sei sordo e segni, non hai futuro!”). Proprio per questo, mi batto perchè all’interno della comunità sorda ci si unisca con convinzione e creatività perchè ci rispettino per quello che siamo, per quello che possiamo e vogliamo essere: persone come tutti ma con una nostra identità, una nostra lingua ed una nostra cultura ben definita. Siamo orgogliosi di essere sordi, dobbiamo esserlo perchè è quello che siamo e non dobbiamo chinare il capo crescendo come falsi udenti o come persone di serie B per conformarci agli altri.  Concludo con lo stesso invito di Talhouk: Sbarazziamoci di questa forma di umiliazione culturale.”

 Abbiamo avuto le stesse riflessioni? Confrontiamoci.

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