Chiusure culturali
Venerdì e Sabato 23 e 24 marzo 2013 alla Spezia si è tenuto un Meeting nazionale In/Formativo e di aggiornamento dal titolo “Sordità: diversi punti di vista”, riconosciuto dal Muir per il tramite dell’Ufficio Scolastico Provinciale della Spezia, che si prefiggevo l’obiettivo di mostrare diversi punti di vista sul mondo dei Sordi. Voglio raccontarvi come è andata e condividere con voi alcune riflessioni di questa giornata.
Il pomeriggio di venerdì si è aperto con il punto di vista medico. E’ intervenuto il Dott. Alessandro Belloni, primario vicario di Otorinolaringoiatria ASL 5 Spezzino, che ha spiegato l’orecchio e le patologie. Successivamente è stato mostrato il punto di vista neuropsichiatrico della Dott.ssa Edda Tesi, neuropsichiatra ASL 5 Spezzino. In chiusura il dottor Claudio Baj, Educatore sordo e docente LIS, ha raccontato il suo viaggio attraverso il punto di vistaantropologico-culturale . Il sabato è proseguito con altri punti di vista: quello sociologico della Dott.ssa Rita Sala, sociologia ed interprete LIS, quello logopedico portato dalla Dott.ssa Piera Massoni. Si sono poi presentate le esperienze personali di diversi sordi: oltre al mio, Claudio Baj, Gabriele Alberici, delegato alle politiche giovanili ENS della Spezia, Elda Lisjack, mamma di due sordi, Franca Romana Albani, responsabile Comitato Famiglie ENS della Spezia e Christine Beatrice Brown, Coordinatrice programmi studio per Sordi – Siena School for Liberal Arts.
Gli interventi sono stati di ottima qualità: ben legati tra loro, pur nella varietà dei contenuti e delle opinioni, hanno offerto molti punti di riflessione e di discussione. Nulla da dire sotto il profilo organizzativo: l’evento si è svolto in scioltezza senza particolari intoppi a parte l’improvvisa malattia di un’interprete LIS e qualche problema audio legato al microfono che ogni tanto faceva le bizze. Dall’altra parte del tavolo, purtroppo, non possiamo dire la stessa cosa. Tra i partecipanti, una trentina scarsa, annoveriamo: una logopedista, tre insegnanti curriculari, un’insegnante di sostegno e sei educatori. Se si considera il lavoro capillare svolto dall’ENS contattando direttamente i dirigenti scolastici delle scuole della Provincia con studenti sordi iscritti con preghiera di divulgarlo alle famiglie ed a chi lavora a stretto contatto con loro, il numero è troppo basso. Voci di corridoio imputano questa assenza a due fattori: la quota di iscrizione di 50 € giudicata troppo alta e l’impegno in termini di tempo (un giorno e mezzo nel fine settimana) che leverebbe tempo al riposo ed alla vita in famiglia. E questa è cronaca.
Ora passerei alle mie riflessioni e considerazioni in merito all’evento. Mentre seguivo i vari interventi, rimbombavano nella mia testa – a tratti con notevole fastidio – due parole: “chiusura culturale”. Queste due parole sintetizzano a mio avviso quello che è il vero handicap sociale ed evidenziano come non sia stato colto il vero messaggio che questo meeting voleva (poteva?) offrire: si parlava di diversi punti di vista sul mondo dei Sordi ma a ben guardare la panoramica poteva molto più ampia. Sostituire la parola “sordità” con qualunque altra parola che esprimesse un concetto di diversità (straniero, disabile, persone con diverso orientamento sessuale, emarginati, disagiati ecc ecc) è un gioco da ragazzi ma evidenzierebbe come certi concetti di fondo siano comuni a tutti, fatte salve le proprie specificità. Ma questi concetti di fondo sono stati metabolizzati?
Prima di andare a capire i diversi punti di vista, però, devo cercare di capire il concetto-chiave: “diversità”. Sulla base di cosa, stabiliamo che esiste una diversità? L’etichetta è il suo simbolo: c’è un’abitudine piuttosto radicata di “marchiare” le persone in base a fattori comuni, quali l’appartenenza, il colore della pelle, il credo (o non-credo) religioso, l’orientamento sessuale, l’aver qualcosa in più o in meno rispetto alla media. Finchè ci limitiamo a porre l’etichetta per “mera comodità”, non ci sono particolari problemi. Ma dal momento in cui arriviamo a fare confronti o ad esprimere dei giudizi, le cose si complicano non poco. È qui che nasce la diversità: quando siamo consapevoli che gli appartenenti a quell’etichetta possono essere meglio o peggio di noi. Sono diversi da noi e – messaggio subliminale – bisogna diffidare perché possono minare la nostra vita sociale. Sembra un messaggio piuttosto forte, forse troppo estremista, ma a pensarci bene l’uomo è un animale e come tale ha nel suo DNA un forte istinto di sopravvivenza, non necessariamente solo fisica. Quando, nella crescita, l’uomo deve “aprirsi” in un contesto sociale, deve giocoforza entrare in un gruppo di persone a lui simili, scoprendo e coltivando quindi la propria identità ed il senso di appartenenza. Tanto più quest’ultimo è forte, maggiore è lo stimolo di competizione: noi siamo i migliori, gli altri no.
Al giorno d’oggi facciamo fatica ad aprirci verso l’altro: siamo diffidenti nei confronti di mondi sconosciuti. Del resto quando suonano al campanello, prima di chiedere chi è, guardiamo nello spioncino prima di aprire. Chi conosce per diretta esperienza mondi e culture diverse, non ha problemi ad avventurarvisi, perché si fida, sa dove andare e cosa fare. Il disagio nasce quando non ci si fida, quando ci basiamo sui giudizi e sulle esperienze di altri, su informazioni avute “per sentito dire”. In una parola, quando si ascoltano i pregiudizi, “il giudizio prima della conoscenza”. Non necessariamente ci basiamo su esperienze degli altri in quel mondo diverso, ma anche sulle nostre brutte esperienze nei confronti di un appartenente di quel mondo. Abbiamo l’abitudine di “fare di tutta l’erba un fascio”: se uno straniero è un criminale, per forza di cose, tutti gli stranieri sono criminali. Se un sordo non parla, per forza di cose, non è intelligente. Se un uomo si sente donna dentro, per forza di cose, è malato. Così via discorrendo.
Sono anni che, almeno per quanto riguarda il mio mondo, ripetiamo gli stessi discorsi alle stesse persone: discorsi che hanno un’ovvietà talmente disarmante che dovrebbe essere inutile solo ripeterli. Anzi, si dovrebbe dare per scontato da arrivarci da soli. Ma quando si litiga nel riconoscere o meno alla Lingua dei Segni lo status di lingua oppure nel considerare l’importanza di una comunicazione visiva per chi ha orecchie “malate” ma occhi che funzionano, a beneficio comunque di tutti, mi rendo conto che ci fossilizziamo dietro falsi problemi e ci troviamo di fronte a quelle due parole che rimbombano nella mia testa: “chiusura culturale”. Per queste considerazioni, ritengo importante l’informazione ma soprattutto il confronto dei diversi punti di vista. Lo “scontro” dà ricchezza, consente di aprire le menti e di spogliarsi di quei dubbi e di quelle paure che creano muri e barriere culturali. Aprirsi verso l’altro non significa solo riconoscere che l’altro esista, ma essere anche consapevoli che tanti “IO” diversi messi insieme possano formare un “NOI” forte senza necessariamente essere in competizione.
Ecco quello che rimbombava nella mia testa durante il meeting. Un meeting che propone questa sfida “culturale” di aprire le menti e scoprire diversi punti di vista val bene 50 euro ed un po’ di tempo negato al riposo ed alla famiglia perché sono valori aggiunti al proprio bagaglio culturale ma soprattutto perché consente di avere una visione diversa e, a mio avviso, ottimistica e di proporre contributi attivi per migliorare questa società che soffre ancora di “chiusura culturale”. La mia speranza è che almeno i presenti abbiano colto questo messaggio e si facciano promotori, nel loro piccolo, di una voglia di cambiamento e di apertura. Sono anni che ci provo e non demordo.