Ciao Oliver Sacks!
Il 30 agosto se n’è andato Oliver Sacks, famoso scrittore e neurologo britannico di origine ebrea. Di lui si ricordano sopratutto i suoi scritti best-sellers, molti aventi per soggetto persone con disturbi neurologici. Il suo titolo più famoso rimane senz’altro “Risvegli” (1973). Raccoglieva le sue esperienze insieme alle persone affette da una forma grave e debilitante di encefalite letargica. Qualcuno ne ricorderà anche un film dallo stesso nome, diretto da Penny Marshall con Robin Williams e Robert De Niro. Il film aveva ricevuto anche nominations all’Oscar 1991. Sono state volutamente linkate alcune parole di questo articolo con Wikipedia per chi volesse approfondire.
Ma quello che pochi sanno è che la comunità sorda deve essergli parecchio grata. Uno dei suoi libri, “Vedere voci” (1990), è dedicato proprio al mondo della sordità. Dalla sua uscita si è cominciato a vedere con più curiosità e con occhi diversi il mondo dei sordi.
Nel racconto delle sue esperienze, Oliver “riesce a scoprire che il meno può anche nascondere un più” come l’elevato uso dell’esperienza visiva .che supera agevolmente il rapporto fra parola, immagine e cervello, consentendo alla lingua dei segni ad avere un ruolo vitale nella comunicazione. Molte le esperienze raccontate e vissute in prima persona, come la rivolta nell’unica università per sordi al mondo, la Gallaudet University, nel marzo 1988 e la sua visita, nel novembre 1990, alla comunità dei sordi e alla scuola di via Nomentana a Roma. E’ un libro che vale la pena di leggere: ve lo consiglio vivamente.
Ci sono tanti modi per ricordarlo. Io preferisco questo:
“Due anni orsono, alla Braefield School for the Deaf, conobbi Joseph, un ragazzo di undici anni che aveva cominciato allora a frequentare la scuola – un undicenne assolutamente privo di linguaggio. Era nato sordo, ma fino ai quattro anni nessuno se n’era accorto.
Il fatto che nonostante l’età non parlasse e non capisse quello che dicevano gli altri era stato attribuito a un «ritardo», poi ad «autismo», e queste diagnosi gli erano rimaste appiccicate. Quando alla fine la sua sordità fu evidente, venne considerato come un «sordomuto» di poca intelligenza e mai fu fatto alcun vero tentativo di insegnargli a parlare. Joseph bramava di comunicare, ma non poteva farlo. Non sapeva parlare, né scrivere, né esprimersi con i segni: solo la pantomima e i gesti gli erano accessibili, oltre al disegno, per cui aveva una marcata disposizione.
Che cosa è accaduto a questo ragazzo? seguitavo a chiedermi. Che cosa succede nella sua testa, come è arrivato a questo punto? Appariva vivace e animato, ma profondamente sconcertato: i suoi occhi erano attirati dalle bocche che parlavano e dalle mani che segnavano, le dardeggiava di sguardi interrogativi, straniti, ma anche, mi parve, bramosi.
Egli avvertiva che in quei momenti tra noi «passava» qualcosa, ma non riusciva a capire di che cosa si trattasse – non possedeva, fino ad allora, la minima idea di una comunicazione simbolica, di che cosa fosse possedere una moneta simbolica, scambiarsi dei significati.
Privato in precedenza di ogni opportunità (non era mai stato esposto ai Segni) e menomato nelle motivazioni e negli affetti (soprattutto, defraudato della gioia che devono dare il gioco e il linguaggio), Joseph cominciava solo ora a impadronirsi dei primi rudimenti dei Segni, ad avere un accenno di comunicazione con gli altri.
La cosa gli procurava,manifestamente, una grande gioia; sarebbe voluto restare a scuola tutto il giorno, tutta la notte, tutti i fine settimana, insomma sempre. La sua angoscia, quando doveva lasciare la scuola, era straziante, perché ritornare a casa significava, per lui, ritornare al silenzio,ritornare a un disperante vuoto comunicativo, in cui non poteva aver alcuno scambio con i genitori, i vicini, gli amici; significava essere ignorato, tornare ad essere una non persona.
Era una situazione toccante, straordinaria – di cui non avevo un esatto parallelo nella mia esperienza. Mi faceva in parte ripensare a un bambino di due anni fremente sulla soglia del linguaggio – ma Joseph aveva undici anni, e sotto tanti altri aspetti era come tutti i bambini della sua età. Mi richiamava anche alla mente un animale, ma nessun animale ha mai dato quell’impressione di ardente bramosia del linguaggio.”
Ciao Oliver!