Eppur qualcosa si muoverà
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Eppur qualcosa si muoverà… 

leone_cane_fifone_rassegnatoQualche giorno fa ho avuto  un appuntamento con un’impiegata delle risorse umane di un’importante grande azienda del territorio con l’obiettivo di valutare insieme quanto fosse fattibile rendere accessibili i loro ambienti di lavoro alle persone sorde in un contesto di alternanza scuola-lavoro.
Premetto che ho alle spalle anni di esperienza sindacale e di incontri istituzionali come dirigente dell’ENS. Tuttavia l’impatto è stato talmente devastante che dopo appena 10 minuti non capivo perchè fossi lì. Purtroppo non è un’eccezione ma è una prassi così collaudata da essere routine. 
 Ironia vuole che l’incontro è stato organizzato dall’impiegata. A fronte di una nostra richiesta avanzata per il collocamento di un nostro studente sordo ci è stato risposto che non l’avrebbero accolto. Ma sarebbero stati disponibili a riceverci per aver suggerimenti su come rendere i luoghi di lavoro accessibili. Questo era quindi il nostro primo appuntamento.
 Vi voglio raccontare come è andata.

Arrivo con la collaboratrice in un immenso e imponente stabile moderno, sede centrale di questa azienda. Dopo le procedure di rito per l’accreditamento alla portineria, veniamo accomodati in una stanzetta da riunioni  con pareti a vetri e un tavolo rettangolare attorniato da sei sedie, proprio di fronte alla portineria ben prima dell’ingresso agli uffici.
Nel disegno qui a fianco, vi mostro la disposizione delle sedie: tenetelo ben presente perchè non è un dettaglio di poco conto. Io e la collaboratrice ci sediamo uno di fronte all’altro (posti 4 e 5) e appoggiamo le giacche e le borse nelle sedie accanto (2 e 3).
 
Dopo una breve attesa, giunge la nostra interlocutrice. Dopo i brevi saluti di rito, prima ancora di sedersi, ci invita gentilmente a appoggiare le giacche e le borse sulla sedia n. 6 per lasciare il posto ai due colleghi che sarebbero giunti per ascoltarci. Poi prende posto sulla sedia n. 1. Mi fermo per un attimo per farvi riflettere. Immaginate la situazione osservando il disegno e collocando mentalmente nella scena i personaggi. Provate a immaginare quale approccio al contesto ogni personaggio ha instaurato, quali aspettative possono essere sorte prima dell’incontro e quale impatto ha avuto questa mossa su quelle aspettative.
Innanzitutto il luogo della riunione. Forse non c’erano altre stanze disponibili in uno stabile di 4 piani da svariati metri quadri l’uno. Dubito (anzi mi auguro per loro) che altri incontri di questo genere si svolgano in una stanza a vetri situata al pianterreno prima ancora dell’ingresso agli uffici. E’ stato come aver ricevuto questo messaggio: “non so chi siano, non mi fido di loro per cui li incontro fuori dal mio perimetro. Poi se saranno degni della mia fiducia, entreranno”.
Poi la scelta della posizione di seduta. Si è costruito il suo perimetro: se visualizzate bene l’immagine del tavolo con noi seduti, è evidente il distacco creato da lei che poi diventerà un muro virtuale con la (credo) involontaria collaborazione dei due colleghi poi giunti. Le possibilità di seduta erano tante ma dipendono tutte dal taglio che si vuole dare all’incontro. Personalmente credo che questa fosse la peggiore soluzione ed è sconcertante sospettare che fosse già studiata prima ancora di arrivare alla stanzetta.
E’ stato per me devastante, non in quanto “vittima” del contesto ma per la freddezza che quel contesto stava inspiegabilmente assumendo. Fortunatamente non mi sono scoraggiato. Mi ritengo una persona navigata e credevo di averne viste di tutti i colori. E’ naturale ad un primo incontro istituzionale mantenere toni distaccati sopratutto se non ci si conosce.  Ma non credo che un impatto così freddo  faccia onore ad un’azienda così importante. Probabilmente sono partito prevenuto ma con il senno di poi i fatti mi hanno dato ragione.
Appena l’impiegata inizia a parlare, si scopre l’equivoco: credeva che l’Ente Nazionale Sordi fosse una sezione distaccata dell’istituto scolastico dov’era iscritto lo studente sordo. A questo punto ho spiegato chi fossimo in realtà e quindi delineato correttamente il contesto. In cuor mio speravo di aver portato l’incontro sui giusti binari. Invece no: il linguaggio del corpo comunica più di mille parole. Dopo il mio chiarimento ho notato una maggior chiusura da parte sua forse dovuto alla consapevolezza della gaffe. Niente di grave, per carità: sbagliare è umano. Probabilmente per lei non è stato così e da quel momento c’è stato un maggior irrigidimento.
Nel frattempo giungono i suoi due colleghi: il dirigente preposto alla sicurezza dei luoghi di lavoro e il responsabile delle officine. A parte la dimenticanza dell’impiegata nel presentare i due nuovi arrivati, rimediata dopo qualche minuto, mi ha colpito la posizione dei loro corpi nei confronti dell’impiegata: erano seduti staccati dal tavolo e con le spalle perpendicolari a lei, si denotava un senso di distacco ma sopratutto non hanno sostanzialmente proferito una parola. Lei era la regista della scena e non ha ceduto il turno di conversazione a loro, per neppure un’istante. Non so se avrebbe dovuto ma sicuramente i più indicati a condividere le mie informazioni erano i due colleghi.  Nel rendermi conto di questa dinamica, mi sono trovato immerso in un clima surreale.
In loro presenza ho spiegato quali fossero le esigenze dei sordi sia in un contesto operaio sia in un contesto impiegatizio. Ho allargato lo scenario non solo in un contesto di alternanza scuola-lavoro ma anche in casi di assunzione di eventuali sordi. Non erano scenari futuribili ma anche immediatamente applicatibili visto che l’azienda in questione ha dipendenti sordi. Ho tentato anche di spiegare come curare l’accessibilità sia in tema di sicurezza sia in tema di formazione nel passaggio delle mansioni. Mentre dai due colleghi ricevevo un feedback positivo (si erano mostrati interessati e avrebbero forse voluto interloquire e approfondire), l’impiegata mi “richiamava all’ordine” chiedendo di limitarmi al contesto per la quale ci eravamo riuniti.
Mi hanno colpito tuttavia alcune sue considerazioni. Nel suo monologo ha spiegato, quasi scusandosi, che quest’anno, a causa di non ben specificati problemi sorti in precedenti esperienze di alternanza scuola-lavoro, hanno deciso di sospendere parzialmente il progetto. Ha detto di averne accolti soltanto un numero che però è stato prontamente corretto in rialzo dal dirigente presente (seconda gaffe…). Ha poi proseguito dicendo che per loro l’alternanza scuola-lavoro è un progetto importante e interessante ma che comunque comporta una serie di complicazioni logistiche perchè una risorsa dovrebbe staccarsi dal suo posto per seguire il disabile. La mia interpretazione è stata: “L’alternanza scuola-lavoro è una sorta di favore che facciamo perchè siamo sensibili al tema ma ci costa in termini di tempo e risorse.” Posso aver capito male.
Comunque sia, io la vedo così: il progetto alternanza scuola-lavoro dovrebbe essere una sorta di tirocinio per fornire competenze a risorse diversamente abili, spendibili nell’immediato nel percorso scolastico ma anche in prospettiva, per far conoscere sia allo studente disabile quali sono le sue prospettive future nel mondo del lavoro sia all’azienda che prende in carico quali nuove leve su cui fare affidamento. Mi chiedo ancora oggi se questo principio sia lo stesso applicato in quell’azienda. Se così non fosse, allora hanno grosse difficoltà anche nei vari tirocini o nelle messe in prova precedenti alle assunzioni? Non credo.
Per farla breve, l’incontro è durato meno di 20 minuti al netto dei convenevoli: forse il più breve della mia storia. L’impiegata ha concluso ringraziandoci (e ci mancherebbe…) per il contributo, avrebbe portato queste considerazioni a suoi superiori e si sarebbero confrontati per valutare se rendere accessibili gli ambienti o meno. L’anno prossimo avrei dovuto chiamare lei per sapere la disponibilità ad accogliere evenutali studenti sordi ma non ha voluto garantire nulla fin d’ora. Ho sorriso per tutto il tempo. In testa mi sono spuntate domande del tipo: “c’è stato qualcosa di positivo in questo incontro?”, “perchè ci ha ricevuti se comunque l’anno prossimo sanno già che molto probabilmente non prenderanno disabili in alternanza scuola lavoro?”.
Mi sono pure chiesto se avessi sbagliato qualcosa. Non mi aspettavo certamente tarallucci e vino ma l’incontro non aveva a mio avviso presupposti tali da giustificare questo freddo distacco. Ho cercato più volte di rendere costruttivo l’incontro offrendo anche una nostra collaborazione gratuita a fornire formazione ma più cercavo di dare un senso, più l’impiegata annullava i miei sforzi. Per tutto il tempo in cui io parlavo, mi mostravo aperto nei loro confronti, guardando i tre presenti a turno per raccogliere feedback mentre lei rispondeva guardando solo la collaboratrice che non ha mai parlato in tutto il frangente. Anche questo potrebbe essere un segnale interessante da capire. Perchè? Insicurezza? Paura di concedere troppo? Forse era la sua prima (o una delle prime) esperienza in questo campo e ha avuto paura di qualcosa. Forse l’essere stata colta in fallo all’inizio l’ha colpita nel vivo e si è chiusa nel suo guscio. Forse siamo incappati in una sua giornata no. O forse magari le è stato detto di comportarsi così. Tutto può essere.
Sia chiaro: non voglio distruggere o sminuire la professionalità dell’impiegata. Ho volutamente dato a questo post una connotazione generica perchè credo non sia importante chi, dove, quale azienda si tratti. E’ un’esperienza come tante altre mi sono capitate finora. Spero, anzi, che l’impiegata si riconosca e magari mi faccia sapere se ho colto nel segno. Forse si sarà resa conto da sola di qualche errore di impostazione o forse invece si ritiene soddisfatta dell’esito: dipende da quali obiettivi si era posta.
Questo è il resoconto, analizzato con i miei occhi, di un’occasione perduta: sono certo, come è nel mio carattere, che l’impiegata sentirà ancora parlare di me e che non finirà qui. L’impressione finale che ho avuto è stata quella di aver disturbato qualcuno da cose molto più importanti e serie per frivolezze come sicurezza, accessibilità, integrazione e disabilità. Tuttavia non è stata la prima volta e non sarà l’ultima.  Ho voluto raccontarlo perchè  le riflessioni e gli spunti di insegnamento di questa esperienza possono essere tanti.
 Vogliamo condividere insieme?

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