Il mio venerdì del Pendola al MPDF di Siena
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Il mio Venerdì del Pendola al MPDF di Siena

IMG_3784Venerdi 17 aprile sono stato invitato a Siena dal Mason Perkins Deafness Fund per esporre una relazione sull’integrazione lavorativa dei sordi. Il titolo della relazione riprendeva quello della tesi di laurea utilizzata come base delle mie riflessioni sul mondo del lavoro e sulla sua accessibilità alle persone sorde: “Integrazione lavorativa dei sordi: utopia o realtà?”. Erano presenti una quarantina di persone, di cui la metà sordi, quasi tutti lavoratori (ma pochissimi di questi lavorano con i sordi).Vi voglio raccontare come è andata il mo Venerdì del Pendola al MPDF di Siena.

L’intento della mia relazione è far riflettere su come mai l’integrazione lavorativa dei sordi non funzioni. Dopo una breve storia generale sulle leggi che si sono susseguite dall’Unità di Italia (la legge Casati del 1859) ad oggi, si è passati a fare un confronto tra la legge 482/68 e la legge attualmente in vigore, la l. 68/99. La prima è ricordata da molti sordi come un’ottima legge: trattandosi di collocamento obbligatorio nel rispetto matematico dei numeri, il posto di lavoro era garantito a tutti, prima o poi. La seconda, quella attualmente in vigore, invece viene considerata una pessima legge: le assunzioni dei sordi sono crollate in maniera visibile dalle statistiche.  Ma com’è possibile questo? Siamo sicuri che la legge in vigore sia sbagliata?

Andiamo a vedere meglio quella legge: passiamo dal collocamento obbligatorio a quello mirato. Sempre dietro ad un mero calcolo matematico, si stabilisce quanti disabili debbono essere assunti nell’azienda in proporzione al numero dei dipendenti. Mentre prima era prevista una graduatoria per ogni categoria di disabilità alla quale attingere di volta in volta, a prescindere dalle competenze, adesso la graduatoria è unica e stilata ad hoc in base alle competenze richieste dal datore di lavoro. Passiamo quindi da un sistema di collocamento al buio ad uno di valorizzazione delle competenze: le persone assunte rispondono sicuramente ai requisiti minimi che il datore cerca pertanto assistiamo a un vero incontro tra domanda e offerta. L’intento del legislatore era quello di collocare i disabili non come un pacco per rispettare semplici calcoli matematici ma come risorse diversamente abili messe a disposizione dell’azienda con quel bagaglio di competenze effettivamente richieste. La legge 68/99, a mio avviso, ha un principio molto valido: almeno dal punto di vista teorico, garantisce una maggiore integrazione rispetto alla 482/68.

Perchè allora sono molti meno sordi assunti? Analizziamo meglio di chi parliamo. Cominciamo dal principio: salvo rari casi, abbiamo di fronte un’integrazione scolastica molto deficitaria che non prepara i sordi per entrare nel mondo del lavoro. Non li rende autonomi e competenti per affrontare nuovi sfide e proporsi da protagonisti. Comunque sia, un sordo che ha compiuto l’obbligo scolastico si trova di fronte a tre alternative: la formazione professionale, la formazione universitaria ed il mercato del lavoro. Fattore comune di queste tre strade è l’accessibilità: purtroppo in molti casi, nonostante ci siano molte proposte formative, i sordi devono far i conti proprio con la mancanza di accessibilità. Non si parla solo di “accessibilità tecniche” come la sottotitolazione delle unità formative oppure la presenza del servizio di interpretariato ma sopratutto di “accessibilità culturali”: la mancanza di empatia e di informazioni sulla sordità, i pregiudizi oppure la sufficienza nelle dinamiche di lavoro. Del fattore “accessibilità” ne ho parlato in un post a parte.
Quindi la legge non funziona non perchè è sbagliata ma perchè chi la applica o dovrebbe applicarla sbaglia approccio. Allora è colpa degli altri. Ma siamo veramente sicuri di questo? Io azzardo un’altra ipotesi. Ho l’impressione che noi sordi abbiamo grandi potenzialità molto spesso inesplorate. Guardiamoci intorno e contiamo quanti sordi sono liberi professionisti, quanti invece sono dipendenti ma accedono a percorsi di carriera (senza barare con gli automatismi). La maggior parte di noi si nasconde dietro scuse e visioni vittimistiche come il Congresso di Milano del 1880, pretendono il lavoro come un diritto divino e non l’accessibilità o la qualità dei servizi. Ci lamentiamo dicendo che “i sordi sono così” ma quanti di noi invece si propongono come protagonisti e come esempi positivi di risorse diversamente abili?
Secondo me ognuno di noi può fare la sua parte per provocare un cambiamento culturale proprio alla base della società in cui viviamo. Se ogni volta che ci troviamo a disagio lasciamo correre e non ci imponiamo senza vergognarci del fatto di essere sordi, non cambieremo mai lo stato delle cose. Ho concluso la relazione con una frase di Seneca: “Non è perchè le cose sono diffiicili che non osiamo. Sono difficili perchè non osiamo”. 

Ringrazio tutto lo staff di Mason Perkins Deafness Funds, Miriam e Maria Pia in particolare, l’interprete LIS Elisa e tutto il pubblico che ha avuto la pazienza di ascoltarmi per due ore.

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